Sono colpevole. Come voi!

Gianluigi Cogo
Webeconoscenza
Published in
4 min readOct 1, 2019

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Potito, il manifestante solitario di Stornarella (diritti della foto)

Se dovessi elencare le mie colpe, una ad una, questo post sarebbe infinito e probabilmente annoierebbe più di quanto non riuscirà già a fare senza il pietoso elenco.

Sono colpevole, dunque. Si, lo sono ogni giorno, perchè i miei comportamenti quotidiani non aiutano il pianeta a preservarsi per le generazioni future.

Cosa faccio di male? Più o meno quello che fan tutti, con l’aggravante di seppellire la consapevolezza di queste gesta sotto il tappeto dell’abitudine. Come se l’abitudine stessa non fosse essa stessa una colpa grave.

Tutte le analisi sui dati raccolti e le proiezioni/previsioni sui disastri futuri ci inducono a minimizzare i fenomeni attuali, ai quali assistiamo stupiti ma allo stesso tempo quasi indifferenti.

I cambiamenti climatici, è ormai provato e documentato dai fatti e dai dati, sono colpa delle nostre cattive abitudini e queste sono figlie del benessere e degli eccessi a cui esso ci induce.

Non è la ricerca di una banale decrescita che ci dovrebbe portare a riconsiderare gli eccessi, ma l’essenza stessa del nostro essere in proiezione futura.

Noi siam pur sempre bestie, anche se evolute. E come tutte le bestie abbiamo bisogni primari, come il nutrimento, la procreazione, la ricerca di un tetto sicuro o di un indumento a protezione delle avversità.

Risolti questi, grazie all’indubbia supremazia del nostro cervello rispetto alle altre bestie, cerchiamo di migliorare la nostra breve permanenza su questo pianeta, accedendo a una serie di bisogni secondari e voluttuari.

Ma il prezzo per soddisfarli è altissimo.

Queste considerazioni, se pur banali e generaliste, dovrebbero accendere una spia rossa in ognuno di noi, a prescindere che l’interruttore venga acceso da una Greta qualunque o, come sarebbe più ovvio, da una sana politica ambientalista promossa da chi ci governa.

Purtroppo, invece, viviamo in un periodo davvero malsano. Un periodo, quello attuale, dove l’età della ragione sta cedendo il passo a quella dell’improvvisazione e degli slogan semplicistici.

Un periodo dove la complessità è vista come una perdita di tempo, dove la conoscenza dei particolari e dei dettagli viene considerata superflua. Un periodo che ci porta tutti a semplificare per convenienza, per noia, per appartenenza e, non da ultima per crassa ignoranza.

La banalizzazione dei temi è quel terreno arido dove le attuali forze politiche e soprattutto i leader delle stesse, innestano i moderni claim, spesso molto aulici e solenni, ma dai contenuti aridi come il terreno che li ospita:

PRIMA GLI ITALIANI

SOVRANITA’ AL POPOLO

ROMA TORNA ROMA

MENO TASSE PER TUTTI

AIUTIAMOLI A CASA LORO

PER I MOLTI NON PER I POCHI

L’abitudine a queste banalità non induce, ahimè, nessuno ad operare un’analisi che provi almeno i bisogni e/o gli auspici o i desiderata che sottostanno al claim.

Ovvero quell’insieme di ingredienti complesso e raffinato che è fatto di consapevolezza del proprio stato, di confronto con i bisogni degli altri, di conoscenza del bene comune, di appartenenza a una comunità e soprattutto di studio e di comprensione dei fenomeni complessi che regolano lo stare insieme in un luogo che è patrimonio di tutti e non, piuttosto, un ritaglio del pianeta a disposizione (temporale) per l’egoismo dei singoli.

Questa negazione della complessità porta anche i singoli ad adagiarsi sullo stesso mood che gli slogan politici imprimono alla comunicazione odierna: ovvero brevità e velocità di messaggio con impatto fragoroso.
Di seguito un elenco di tali affermazioni semplicistiche estratte da un post su Facebook che ha raccolto le reazioni di esimi soloni dopo le manifestazioni per il #climatechange di venerdì scorso:

Eh, ma noi eravamo un’altra cosa.

Eh, ma a quell’età bisogna andare a scuola.

Eh, ma hanno comunque sporcato la città bloccando il traffico.

Eh, ma sono manipolati.

Eh, ma poi vanno al McDonald’s.

Eh, ma ogni scusa è buona per non studiare.

Eh, ma non sanno nemmeno per cosa stanno protestando.

Eh, ma io alla loro età pensavo a divertirmi.

Eh, ma io alla loro età avevo gli ideali, non come loro che hanno gli smartphone.

Eh, ma noi avevamo ragione e loro no.

Eh, ma tanto è inutile.

Eh, ma li hai visti in faccia?

Eh, ma si fanno solo le canne.

Eh, ma dove credono di andare?

Eh, ma guardali i piccoli comunisti.

Eh, ma guardali i piccoli capitalisti.

Eh, ma tanto è solo moda.

Eh, ma facessero parlare gli scienziati.

Eh, ma fammi stare zitto.

E’ un’elenco di frasi, quasi sempre pronunciate da personaggi piuttosto âgée, che raccolgono le frustrazioni di chi non è riuscito a cambiare il mondo e prova rancore e invidia profonda per il figlio che ci sta provando.

Ultima in ordine temporale l’uscita del prof Cacciari: ‘Greta semplifica sull’ambiente come Salvini fa con i migranti’, che fa sua la più bieca e inutile semplificazione e compie un disastro filosofico e ideologico senza pari.

Diritti della foto

C’è all’orizzonte un vero bisogno primario che può cambiare le cose, ovvero quello di ascoltare gli altri, per capire non solo la complessità che ci circonda, ma soprattutto gli stati d’animo e l’idea di futuro che si stanno immaginando i giovani.

Per farlo abbiamo a disposizione studi, dati, analisi e ascolto. Dobbiamo provare a farli nostri e privarci definitivamente degli slogan che hanno il solo scopo di dividirci e di renderci sempre più aridi, stupidi e inutili.

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