Magia di una domenica speciale a Venezia

Gianluigi Cogo
Webeconoscenza
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5 min readJan 25, 2017

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Ragazzone non ancora trentenne, negli anni ’80 passavo le mie domeniche al palasport dell’Arsenale.

Allenavo le squadre giovanili della Reyer e spesso disputavo la partita di campionato con i miei ragazzi proprio a ridosso della prima squadra. Forse per non far annoiare il pubblico che affluiva già nel primo dopo pranzo, per assicurarsi i posti migliori.

Con la prima squadra collaboravo saltuariamente (già dovevo allenare due formazioni giovanili) e il vice allenatore era l’allora giovanissimo Vitucci.

Di fatto visionavo in giro per l’Italia le partite degli avversari per poi riferire al paron Zorzi e spesso, durante le partite casalinghe, mi occupavo di redigere le statistiche, monitoravo particolari avversari pericolosi e facevo così esperienza diretta in panchina con un team di prima categoria.

Quel 25 gennaio del 1987 al palasport dell’Arsenale ospitavamo la Virtus Bologna. Una squadrone, una corazzata, una vera schiacciasassi.

In spogliatoio l’atmosfera era normale, nessuna enfasi particolare sugli avversari che tutti conoscevano e stimavano. Zorzi non usava particolari tecniche o tattiche per caricare i suoi uomini, gli bastava il lavoro settimanale e un ripasso prima della partita dove ognuno prendeva coscienza dei suoi compiti.

Praja Dalipagic non aveva bisogno nemmeno lui di caricarsi in modo particolare. Mi ricordo che durante il pre-partita mi passava spesso vicino facendo battute scherzose. Era molto rilassato, anche se poi scaricava le sue bombe micidiali con una naturalezza incredibile, già nella fase di riscaldamento.

Non avevo nulla da dirgli, al massimo potevo battergli le mani e dirgli: ‘dai, dai, forza, forza, su’. Insomma banalità. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Persino il capo allenatore con lui (vero terminale di gioco della squadra) distillava pochissime indicazioni.

Nel tempo, soprattutto tornando dalle trasferte e grazie al fatto che seguivo suo figlio negli allenamenti, mi si avvicinò più spesso per darmi dei consigli. E da li nacque un saltuario rapporto sincero che mi aiutò nei momenti difficili. Uno in particolare, quando tornando da Torino sconfitti per un solo punto, fui messo sulla graticola da paron Zorzi per una scelta bizzarra (era una delle tre partite in cui lo sostituii in quanto squalificato). Praja mi consolò ma mi diede anche dei consigli sui rapporti relazionali che ancora ricordo.

Tornando a quel giorno di Gennaio del 1987, c’era molta più eccitazione fra il pubblico e la stampa che non fra i giocatori e lo staff. Insomma, la partita era di cartello ma nessuno avrebbe mai immaginato o preventivato cosa sarebbe successo.

Tutto cominciò come al solito. Gran tifo da parte dei sostenitori, ambiente caldissimo e giocatori subito a loro agio. La Virtus era prima in classifica e dunque squadra consapevole delle proprie virtù. I ragazzi di Zorzi non avevano nulla da perdere ed entrarono in campo sereni e senza pesi particolari da sopportare.

Il coach delle V nere era Sandro Gamba e l’assistente il giovane Ettore Messina. Lanciatissimi in vetta e sicuri di fare bene ai play-off con una squadra quadrata, potente e fino a quel giorno schiacciasassi del campionato.

Loro forse presero un po’ sottogamba il primo tempo lasciando troppo spazio a Praja, ma la vera chiave di lettura dei 15 punti di vantaggio maturati in quella prima frazione fu la difesa. Zorzi era un maestro nel curare nei minimi particolari i raddoppi, i cambi difensivi e gli aiuti. Fu quella la chiave, anche se poi guardando lo scout che stavo redigendo mi accorsi che il nostro cecchino ne infilò 40 solo nella prima fase.

Giocammo anche con i giovani juniores e cadetti (orgoglio e premio per il lavoro di noi allenatori giovanili). Barbiero e Nicoletti vennero lanciati dal paron come sempre aveva fatto, per valorizzarli e farli crescere anche durante le partite di cartello. Niente sconti, se sei un campione predistinato devi dimostrarlo subito.

E Praja li aiutava, li responsabilizzava dal campo, strigliandoli anche ma offrendosi poi come terminale quando la palla scottava.

Non avevo mai visto Gamba così impotente e incredulo su quello che stava succedendo. Mi ricordo che alla fine del primo tempo, sotto al tunnel che portava agli spogliatoi, raccomandò ai sui giocatori di concentrarsi maggiormente sulla difesa di altri soggetti, perché nella seconda parte, secondo lui, Dalipagic sarebbe inevitabilmente calato.

Praja smontò quel progetto con una facilità devastante. Ogni volta che gli lasciavano spazio li colpiva, ogni volta che lo stringevano in raddoppio liberava un compagno per una conclusione facile.

Il secondo tempo fu sicuramente più concitato ma anche più spettacolare perchè la voglia di riscatto della Virtus si schiantò contro la prorompente voglia di sepellire la capolista con bordate che alla fine frustrarono i bolognesi e misero in discussione le loro certezze.

Alla fine del campionato la Virtus non ci arrivò da campione e la sua discesa dalla vetta iniziò proprio a Venezia.

A fine partita feci vedere lo score che tenevo in tempo reale a Praja che quasi lo ignorò. Era contento sia chiaro, tutti i giornalisti lo cercavano, ma all’inizio per lui sembrò una cosa normale.

Con il tempo forse maturò il contrario, perchè 70 punti in una partita sola, son davvero tanti.

I giornalisti circondavano anche Zorzi che, com’era giusto, si coccolava il suo campione: ‘Sembra un paradosso, ma continua a migliorare. Passa meglio la palla, è più altruista. E sta moltissimo in palestra. A tirare, naturalmente”.

Praja era un giocatore fisicamente normale, ne troppo alto, ne troppo massiccio e nemmeno velocissimo. Qualcosa però lo rendeva particolarmente in armionia con l’insieme di quel gioco, con l’essenza della pallacanestro e quei principi basici che per lui erano normalità: smarcarsi, ricevere, puntare il canestro e infilare la palla nella retina.

Eppure tutti sapevano quando e come faceva queste semplici cose. Provavano a marcarlo stretto, a raddoppiarlo e triplicarlo, ma tutto ciò non bastava mai. Lui continuava a fare cose semplici, basilari e soprattutto in perfetto rapporto empatico con lo spirito e la chimica di quel gioco. Cosa che ho visto fare a ben pochi altri.

Ho ricordato questi fatti perchè oggi son trent’anni esatti da quella storica partita tra Giomo Venezia e Dietor Bologna in cui Dalipagic realizzò 70 punti e che finì 107–102 per la Reyer.

Se volete riviverla, qui di seguito c’è il video. Enjoy.

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