La nuova normalità

Gianluigi Cogo
Webeconoscenza
Published in
5 min readMay 5, 2020

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Photo by Kate Trifo on Unsplash

Premetto che sostengo apertamente e convintamente quella tesi che individua negli appartenenti alle generazioni più giovani gli unici autorizzati a riscrivere le regole per una nuova normalità.

Detto ciò vorrei comunque avventurarmi su una semplicistica analisi degli errori più comuni che hanno condizionato il passato e che, ahinoi, rischiano di condizionare inevitabilmente anche il prossimo futuro.

Tenendo fermo quanto da me espresso alcune settimane fa sull’incapacità pianificatoria e programmatoria tipica della mia generazione,

proverò, con l’approfondimento odierno, a farmi condizionare da una serie tv Netflix per analizzare anche i sentimenti e il peso delle consuetudini, dell’ostinazione e dell’umano uniformarsi a tutto ciò che è meno dispendioso, in termini di sforzo fisico ed intellettivo.

La serie di cui sto parlando è After Life, una produzione britannica controversa e molto criticata. Per certi versi politicamente scorretta, ma al tempo stesso esilarante.

Senza inerpicarmi in analisi da critico cinematografico quale non sono, vi propongo alcuni elementi della narrazione che mi hanno condotto sino alla riflessione odierna e che mi son sembrati molto attuali. Ovviamente senza spoilerare.

Il cambiamento.
Il protagonista non accetta in nessun modo un cambiamento radicale conseguenza inevitabile di un dramma. E questo è un sentimento della narrazione che ritrovo in molti comportamenti attuali. La negazione dell’evidenza, la non accettazione della misura e dell’entità del dramma. La voglia di tornare indietro a quella che era considerata normalità, ma anche comodità e consuetudine. La comfort zone come traguardo per scansare l’onere del pensiero olistico e più ampio. La comfort zone come appagamento individuale ma anche come vigliaccheria e disimpegno.

Le piccole abitudini quotidiane.
L’intera architettura narrativa si basa sulle piccole e inutili abitudini quotidiane di una micro comunità britannica. Ogni singolo individuo spende la maggior parte della propria esistenza concentrato su se stesso o al massimo sugli affetti famigliari e sulle vicende connesse, siano esse positive o negative.

Ognuno vive il percorso esistenziale come sfida personale e, al netto delle amicizie di prossimità o famigliari, non si eleva mai oltre la banalità di un esistenza ordinaria, assumendosi responsabilità collettive, di leadership o comunque orientate verso una visione olistica e sfidante.

Il perimetro microlocale.
Nella serie non si intravede mai una contaminazione terza. Nessun apporto positivo dall’esterno che possa avvantaggiare la comunità o i singoli.

Tutto avviene in piena autarchia e si consuma in un ciclo esistenziale chiuso, ripetitivo e privo di evoluzioni tangibili. Il modello sovranista del microcosmo autosufficiente e immutabile.

Non viene mai messa in discussione la vacuità e l’inconsistenza dell’esistenza. Non viene mai confrontato il modello in uso con un’altro modello, perchè semplicemente altri modelli non esistono.

Il conservare come unico rimedio.
Diversi sono i passaggi (sto provando a non spoilerare) nei quali non solo si rappresenta ma addirittura si propone il mantenimento del modus presente come unica soluzione.

Lo si presenta come soluzione socio-economica, ma lo si intravede anche nel concetto di detenzione e conservazione di cose, ovvero possesso e accumulo di beni materiali e immateriali, da non scambiare con nessuno.

Mi fermo qui anche se sarebbero moltissime le analogie e le ispirazioni che la serie propone. Al netto di una splendida interpretazione di Ricky Gervais che vale da sola la serie.

Dunque torniamo a noi e alla non voglia di cambiare tutto che sta pervedendo la società attuale, manifestata anche da un sentimento opportunistico prevalente e dominante.

Questa inerzia è forse conseguenza di un benessere, non economico, ma fisico-esistenziale diffuso.

Mi spiego meglio. Dal 1945 non abbiamo più conosciuto catastrofi nazionali che abbiano avuto un impatto devastante sull’intera collettività. Abbiamo poi raggiunto un’aspettativa di vita che si aggira ormai sui 70 anni, merito soprattutto della scienza medica ma anche dei mestieri meno pericolosi. E’ risaputo che gran parte della popolazione occidentale è occupata in professioni intellettuali a basso rischio fisico (non psichico).

Consapevoli, eccitati e impavidi abbiamo sfruttato questa condizione per cambiare completamente gli stili di vita dando inizio a una serie di eccessi che sarebbe lunghissimo elencare ma potrebbe essere interessante analizzare, in altri ambiti e luoghi, per capire se sono anch’essi causa degli squilibri recenti.

Solo per fare alcuni esempi, siamo diventati campioni nel consumo di conoscenza ed esperienza. Infatti ci son ventenni che han già vissuto dieci volte le spiagge di Ibiza ma non conoscono l’esistenza dell’Abbazia di San Fruttuoso o della splendida Civita di Bagnoregio, e nemmeno sanno dove è conservata la sacra sindone o il dipinto dell’ultima cena.

E siamo diventati in brevissimo tempo campioni di consumo tecnologico, delegando al digitale oneri e adempimenti ma al tempo stesso regalando alle multinazionali del digitale dati, privacy e intimità da elargire e condividere con una platea immensa di sconosciuti.

Siamo esperti di ogni cosa grazie alla compulsiva condivisione di ogni idiozia o credenza che viene strumentalmente immessa nei social network, ma non sappiamo più riparare una bicicletta o coltivare una zucchina.

Luoghi comuni? Cause? Fate voi. Io le butto li come con-cause. Senza supporto scientifico alle mie tesi.

Non voglio perciò ergermi a paladino della decrescita come ricetta per la nuova normalità, anche perchè questo tema è stato ormai declinato nel più ampio contesto della sostenibilità e, per fortuna, si avvale già di piani e programmi che basterebbe semplicemente rispettare o, con più lungimiranza, rendere condizionanti per finanziare i prossimi interventi strutturali che saranno le fondamenta per la nuova normalità.

Detto ciò lascio ai giovani le idee per il dopo e le ricette per una nuova normalità che dia prospettiva e speranza a un futuro post emergenza.

Non servono certo rivisitazioni di piani Marshall piuttosto visioni ampie e sfidanti che, però, traggano origine dalla nostra consapevolezza di fragilità e di inevitabile transitorietà (in questa frase la serie tv mi ha condizionato molto).

Infatti, con una capriola ardita ma ponderata, torno sullo splendido After Life perchè, paradossalmente, i limiti e le provocazioni narrative che ho descritto sopra diventano veri e propri valori da riconsiderare in prospettiva di nuova normalità.

Quasi rivedendo al mia posizione avversa al conservatorismo e cercando di comprendere le sfumature che giustificano tale atteggiamento, provo a farmi persuadere da alcuni dialoghi e assunti che, dalla narrazione di After Life, si proiettano verso una riscoperta o una riconsiderazione di molti valori considerati superflui.

La riscoperta nell’apprezzamento delle cose piccole, che ci danno la gioia, diventa dunque un valore da conservare. La cura gelosa ed esclusiva per le relazioni e i contatti che ci danno amore, attenzione e ascolto rappresentano uno dei principali valori sui quali scommettere.

La cerchia famigliare, gli affetti e le semplici abitudini ritrovate durante la quarantena potranno consolidarsi come antidoto alle distrazioni vacue e superficiali indotte dall’uso spasmodico dei social network.

La voglia di vivere ogni momento della nostra breve esistenza concentrandoci sul valore che i sentimenti di amicizia, rispetto e solidarietà portano in dote, potrebbe essere davvero la base da cui ripartire.

Il new normal è la voglia di migliorare se stessi per migliorare la società in cui viviamo. E’ la voglia di ricominciare un percorso insieme agli altri e non contro gli altri. E’ la solidarietà alla base della sostenibilità.

p.s. guardate la serie, ne vale la pena!

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