Da dove ripartire?

Gianluigi Cogo
Webeconoscenza
Published in
5 min readMar 9, 2020

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Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo pistolotto, poi alla fine mi son detto che sicuramente avrò del tempo, e lo avranno anche quelli che mi potrebbero leggere. In teoria dovremmo essere tutti a casa (#iostoacasa), dunque perchè non rispolverare anche il blog e provare a riflettere sul come ripartire?

Ma partiamo dalle basi: ripartire, ricominciare, resettare, non sono sinonimi. Ripartire potrebbe essere assai dannoso se non si ha la capacità di ripartire diversamente, da come e da dove ci siamo fermati.

Quindi reset potrebbe essere la parola magica, ma anche resettare impone una certa cautela. Saremo capaci, dopo un reset, di indirizzare la rinascita senza una corretta pianificazione a sostegno della stessa?

Partire da zero (from scratch, come si usa dire quando si pianifica) può risultare vantaggiosissimo. Ma chi di mestiere è uso gestire piani, programmi e progetti, sa anche che gli errori fan parte del prezioso bagaglio di un Project Manager. Le famose lesson learned, infatti, sono anch’esse una base importantissima per la ri-programmazione e/o la pianificazione.

Dunque imparare dagli errori del passato è altrettanto importante quanto resettare e ripartire da zero.

Detto questo, e chiudendo la premessa filosofica, solo chi non ha memoria può partire veramente da zero, per tutti gli altri rappresenta solo un modo di dire per autossolversi dagli errori e lavarsi la coscienza. Inoltre, se volessimo dirla davvero tutta, i computer hanno un vantaggio su noi umani. Ad essi si può svuotare la memoria, a noi umani no!

Photo by Alex Motoc on Unsplash

La prima lezione appresa dal recente passato è indubbiamente quella sull’improvvisazione nel reagire.

Negli ultimi decenni abbiamo lentamente e inesorabilmente accettato che la politica, chiamata solitamente a fare le scelte strategiche, abbia assecondato una serie di istanze particolari, ideologiche e opportunistiche maturate nella sfera dell’egoismo personale e collettivo dei cittadini.

La politica e i governanti hanno perso il ruolo, il senso e il mandato del pianificatore a lungo termine. La politica e i governanti tutti, che si sono succeduti negli ultimi decenni, hanno perso anche la visione, seppur sempre più spesso sollecitati ad esplicitarla e ad avvalersene. Dunque pur spinti in questo senso dagli studiosi e dall’intellighenzia tutta, han preferito invece assecondare, con il criterio dell’urgenza, gli istinti di cui sopra. Ovvero quelli provenienti dalla pancia e non dal cervello.

Ciò che i padri costituenti e i primi governi succedutesi agli stessi hanno pianificato, è stato raccolto e sfruttato, nel bene e nel male, solo negli anni ’60 e ’70, con una piccola coda negli anni ’80, quando il reset è stato imposto dal grande conflitto mondiale appena conclusosi. Da allora in poi, il buio più totale ci ha avvolto.

Nel breve volgere di soli trent’anni ci siamo fatti trarre in inganno dal benessere e dalla pace duratura. Abbiamo utilizzato questo momento idilliaco per curare sempre di più i nostri interessi personali, perdendo di vista il senso di collettività che, purtroppo, solo il post conflitto ci aveva fatto ritrovare.

E ciò ha determinato le prime disparità. La forbice fra ricchezza e povertà è aumentata. La classe media evaporata in un niente. La parola d’ordine ‘popolo’ ha assunto un significato marcatamente rivendicativo tralasciando i valori fondanti e sempre presenti nella sua essenza che dovrebbero essere più marcatemente riferiti alla collaborazione, crescita collettiva, sostenibilità e solidarietà.

I diritti collettivi sono stati dimenticati, così come le lotte per conquistarli. I doveri individuali, a cui tutti siamo chiamati per sostenere il bene collettivo, non sono più patrimonio di questa nazione.

E qui mi sento in obbligo di citare un interessantissimo articolo di Beniamino Piccone su Econopoly de Il Sole 24 ore.

Siamo in presenza di una enorme asimmetria tra diritti e doveri. Alessandro Barbano, già direttore del Mattino di Napoli, ha compiuto un’interessante analisi, coniando il termine «dirittismo», ossia «la percezione collettiva di essere titolari di un credito politico nei confronti della democrazia, a cui non corrisponde una parallela responsabilità sociale» . In questo modo aumenta la volatilità del consenso, l’aspettativa di espansione dei diritti soggettivi supera i confini del realismo, scaricandosi su un’offerta politica che purtroppo è accondiscendente con il risultato di aumentare deficit e debito pubblico.

Per ribaltare il dirittismo e smascherare le contraddizioni del populismo, Barbano auspica un ritorno al lessico della verità, alla parresia greca. Senza un lessico del coraggio, l’impegno civile e i doveri rimarranno lontani dalla realtà. Senza contare il fatto che il cittadino, sbagliando, si sente migliore della classe politica. Come ha sottolineato il politologo olandese Cas Muddle, sempre più si diffonde l’ideologia che considera la società come composta da due blocchi monolitici, tra di loro contrapposti: da una parte il popolo, dall’altra l’élite corrotta (declinata al singolare).

E ora veniamo al dunque. Come ne usciamo? E soprattutto come possiamo davvero resettare il sistema e farlo ripartire senza bug?

Secondo la mia inutile opinione tutte le iniziative, nobilissime, di questi giorni sono benedette, ma non sono di sistema. Nel senso che non sono coordinate e non fanno riferimento a una regia che possa indirizzarle e valorizzarle.

E’ bellissimo vedere come in molti stanno reagendo con iniziative nobilissime. La stampa e il web le stanno enfatizzando e son sicuro che in molti risveglieranno la passione per la solidarietà.

Comunque va bene, va benissimo, ci mancherebbe altro. Facciamole emergere ed emuliamo!

Detto ciò, per ripartire from scratch, abbiamo bisogno di concentrarci su tre elementi/obbiettivi fondamentali che provo ad elencare:

A) Rinunciare alla sovranità e alle rendite di posizione. E’ ora di finirla con particolarismi, individualismi, sovranismi e balle varie. Servono standard di convivenza e crescita collettiva chiari, ordinati e soprattutto SUBORDINATI. La democrazia ha un grandissimo difetto: NON È PERFETTA. Ma ha anche un pregio che le dittature non hanno: SI PUO’ MODIFICARE.

B) Affidarsi ai migliori per merito e non per ruolo. La nostra società, con la deriva degli ultimi trent’anni ha premiato boiardi di stato, capitani d’industria falliti, mestieranti lacchè e improbabili cerchi magici. Con l’effetto di far scappare i migliori. Se vogliamo resettare tutto bisogna richiamare i migliori e dargli subito le chiavi del comando, cacciando a pedate in culo i mediocri.

C) Diventare una nazione smart. Credo che l’emergenza sia stata l’occasione per un apprendimento collettivo che mai si era visto prima. Nemmeno il grandissimo maestro Manzi era riuscito a fare quello che che questo maledetto virus ha fatto. Ci ha costretto tutti a usare strumenti e metodi moderni che prima erano snobbati. Evviva. Partiamo anche da questo!

E infine, anche se non compare nell’elenco, l’elemento più importante di tutti: IMPARIAMO AD AMARE DI PIÙ LA VITA E IL NOSTRO PIANETA.

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