Abbiamo ancora bisogno di implementare le nostre competenze digitali?

Gianluigi Cogo
Webeconoscenza
Published in
6 min readJun 8, 2023

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Lo scenario di riferimento

Il tema delle competenze digitali è stato a lungo dibattuto nella società odierna, soprattutto in riferimento al ritardo culturale maturato dal nostro paese in ordine al corretto sfruttamento delle opportunità che l’innovazione digitale mette a disposizione per crescere, innovare ed evolvere come singoli individui, come società e soprattutto come sistema produttivo.

Quasi tutti i recruiter e i manager HR si sono ormai convinti che una solida base di competenze digitali sia un requisito essenziale per ogni professione, senza distinzione alcuna. Infatti, in ogni ruolo e in ogni ambito dove si vada ad applicare una professionalità moderna, è auspicabile che si detengano già delle competenze avanzate per la gestione delle più evolute tecnologie digitali oggi disponibili, nonchè una spiccata abilità nella scelta delle migliori e più utili tecnologie a supporto delle attività assegnate.

Non è banale dunque sottolineare, sempre con più enfasi, che le competenze digitali non si limitano solo alle competenze tecnico-informatiche, ma comprendono anche un insieme di abilità, più soft, che permettono di utilizzare in modo efficace e produttivo tutte le tecnologie digitali che il mercato mette e metterà a disposizione.

Un grande dibattito culturale su questi temi ha coinvolto persino la Commissione Europea che, a prescindere dallo sfruttamento delle competenze in ambito di business, ha definito e pubblicato un quadro (Digital Competence Framework for Citizens -DigComp-) dedicato a tutti i cittadini dell’unione, proprio per marcare fortemente il concetto che le competenze digitali sono indispensabili e utili a tutti.

Questa scelta ha un significato altissimo e strategico, perchè sancisce definitivamente che le competenze digitali sono il PREREQUISITO DI BASE PER ACCEDERE AL MONDO DEL LAVORO e per svolgere al meglio delle proprie capacità ogni tipo di professione che si avvantaggia delle tecnologie digitali, ormai pervasive e strategiche in ogni settore produttivo e nei campi più svariati della società tutta.

Già sappiamo che le competenze digitali possono essere suddivise in due categorie principali: hard skill e soft skill. Le hard skill rappresentano le competenze tecniche e pratiche necessarie per utilizzare e lavorare con le tecnologie digitali e comprendono la capacità di utilizzare software specifici, la programmazione, la gestione dei dati, la sicurezza informatica e la comprensione dei concetti tecnologici fondamentali. Esse sono anche facilmente misurabili e possono essere acquisite sia attraverso la formazione che l’esperienza pratica nel lavoro.

Dall’altra parte, le soft skill rappresentano le competenze cognitive, sociali ed emotive che consentono alle persone di utilizzare le tecnologie digitali in modo efficace, efficiente e produttivo. Queste competenze includono, ad esempio, la capacità di problem solving, il pensiero critico, la creatività, la comunicazione efficace, la collaborazione e l’adattabilità e molte altre abilità/qualità che possono essere anch’esse allenate con precisi e puntuali processi di apprendimento. Nel contesto particolare delle competenze digitali, le soft skill sono altrettanto importanti quanto le hard skill, poiché aiutano le persone a comprendere i bisogni degli utenti, a comunicare in modo chiaro e soprattutto a lavorare efficacemente in team.

Nuove prospettive

Ma se oggi dovessimo programmare o ri-programmare degli investimenti in competenze digitali, davvero dovremmo includere ancora quelle hard?

Da un lato, e per fortuna, stiamo assistendo all’ingresso nel mondo del lavoro della GenZ che, diversamente dai boomer, ha già nativamente sviluppato abilità hard attraverso un apprendimento naturale e spontaneo. Dall’altro stiamo assistendo a una rivoluzione epocale che sfrutta le grandi potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, nonchè quelle enormi semplificazioni indotte dall’adozione del Computing Spaziale, ovvero la tendenza in atto che prova a ricondurre le meccaniche digitali in un ambito più strettamente umano, legato alle nostre abilità gestuali e sensoriali.

Proviamo a fare un esempio sullo scenario prossimo venturo e sull’evoluzione in atto: Se dovessimo immaginare delle abilità per predisporre un progetto, fissare degli incontri, gestire delle presentazioni, assegnare compiti, redigere report e comunicare i risultati con l’ausilio di strumenti digitali, sicuramente avremmo bisogno di qualche risorsa particolarmente skillata con i vari strumenti e servizi digitali utili per questi scopi. Insomma un esperto di applicazioni e servizi digitali a servizio del project management, team management, data management, ecc.

E invece, già oggi e probabilmente con maggior certezza nell’immediato futuro, forse queste abilità non saranno più necessarie.

Ad esempio Microsoft, già partner di ChatGPT dalla prima ora, con il suo servizio Copilot, ha iniziato ad estendere la capacità dei propri servizi e applicazioni con plugin, api e morsetti vari che di fatto permettono di usare l’Intelligenza Artificiale per la gestione di molte attività legate ai team di lavoro. Il video che segue è già di per se molto esplicativo sulle potenzialità indotte.

Con il sistema Copilot, Microsoft offre soluzioni di Intelligenza Artificiale per le aziende. Copilot è più di una semplice integrazione di ChatGPT di OpenAI in Microsoft 365. È un sofisticato motore di elaborazione che lavora dietro le quinte per combinare la potenza degli LLM con le app di Microsoft 365 e i dati aziendali nel Microsoft Graph, ora accessibile a tutti attraverso il linguaggio naturale. (fonte).

Anche Google si sta muovendo in questo senso portando l’AI dentro la sua suite workspace con risultati molto simili per la gestione dei progetti e dei team di lavoro. E sicuramente tutti gli altri competitor del settore non stanno a guardare e nel prossimo futuro si adegueranno alle scelte delle Big Tech.

Anche se (detto con chiarezza e consapevolezza) tutto ciò che intravediamo e immaginiamo grazie a questi annunci e a questi video dall’alto impatto emotivo è poca cosa se confrontato con le hard skill digitali necessarie in ambito di programmazione informatica e/o gestione dei dati digitali. In questo campo di applicazione, infatti, assistiamo a una vera e propria rivoluzione epocale. Gli algoritmi generativi riescono a produrre codice informatico assolutamente perfetto, riducendo quasi a zero il margine di errore e rendendo quasi inutile il lavoro del programmatore, lasciando all’analista il compito di assemblare gli elaborati prodotti dalle AI. Lo stesso fanno con l’analisi dei dati e con la loro interpretazione ai fini di business.

Nell’ambito invece del computing spaziale abbiamo assistito, solo pochi giorni fa, alla presentazione di VisionOS di Apple che apre delle prospettive interessantissime in ordine alla gestione di app e servizi, anche lavorativi, in ambienti ibridi, dove il layout di gestione delle attività potrebbe finalmente fare a meno di personal computer, proiettori, schermi, microfoni e altre device.

Il digitale diventa indossabile, mentre app e servizi possono e devono ‘girare’ e ‘interoperare’ ovunque e con chiunque sia disponibile in rete, con il solo ausilio della voce e dei movimenti corporei.

Il futuro prossimo

In questo panorama, non più legato all’immaginario dei film di fantascienza, noi stessi (con i nostri sensi e i nostri gesti) saremo i nuovi device. Occhi, voce e dita diventano veri e propri puntatori e clicker, consentendoci un’interazione naturale e umano/nativa. Quali competenze digitali sono necessarie per gestire tutto questo? Forse nessuna di quelle hard, ma sicuramente molte di quelle trasversali e complementari utili a ridefinire ruoli, ambiti, spazi e soprattutto tempi!

Se da un lato tutto ciò facilita e rende meno ‘imparabile’ ogni nuova innovazione digitale che emergerà in futuro, dall’altro dovremmo imparare a dare spazio al tempo vuoto che riceveremo in cambio.

L’AI e il computing spaziale potrebbero essere davvero l’inizio di una nuova era dove si andranno a creare spazi nuovi, sempre più umanizzati e rispettosi del nostro essere. E guai a riempirli di nuova efficienza e produttività. Sarebbe deleterio.

Se, come sembra, per la prima volta nella storia il computer prova a inseguire l’uomo nei suoi campi sensitivi e sentimentali, non dobbiamo lasciarci perdere l’occasione per migliorare ancora di più le nostre qualità native che son state messe da parte per inseguire quelle tecniche legate alle innovazioni emergenti.

Dobbiamo concentrarci nel liberare ancora di più la nostra creatività, allenare l’intelligenza empatica, migliorarci in comunicazione e relazione, non subire l’innovazione ma adattarci ad essa e infine concentrarci di più sullo sviluppo personale e la consapevolezza di sé, ricordandoci che, comunque, una macchina è pur sempre una macchina e non può fare tutto da sola. Quelli intelligenti siamo noi!

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